Spunti di riflessione su tematiche ricorrenti nella gestione delle Imprese Familiari
Purtroppo molti di noi stanno assistendo al fenomeno per il quale molte Imprese familiari, anche di successo, non riescono a mantenere un minimo livello di competitività tale da riuscire a sopravvivere e, conseguentemente, si vedono costrette a cessare la propria attività. Le statistiche attuali mettono in evidenza che solo 4 aziende su 10 e 2 aziende su 10 riescono a “resistere” rispettivamente al primo e al secondo “passaggio generazionale”. Qualcuno riesce ad identificare il “cosa” fare, ma il problema più importante è il “come” farlo e soprattutto “con chi” farlo, in quanto nella maggior parte dei casi è possibile intervenire in maniera efficace solo se adeguatamente accompagnati, avvalendosi di competenze complementari. Qualcuno ritiene che, per favorire i “ricambi”, si debbano stanziare finanziamenti, qualcun altro che le aziende debbano dotarsi di manager esterni, altri ancora che le Imprese si debbano aprire a capitali esterni, provenienti da altri investitori. A nostro avviso non esiste una ricetta predefinita per la risoluzione di questo annoso problema. Anche se sussiste un “denominatore comune”, tutte le situazioni sono differenti l’una dall’altra e, pertanto, richiedono interventi altamente personalizzati. Prima di iniziare ad elencare una serie di “cose da fare”, ritengo opportuno elencare alcuni elementi di rischio maggiormente comuni negli Imprenditori alla guida di aziende familiari: - essere portati a pensare che se l’azienda guadagna, guadagnerà per sempre, “tutto sommato” non ci sono problemi e che l’organizzazione, i processi, metodi, strumenti e il team sono ottimali - credere fermamente che “squadra che vince, non si cambia” - essere convinti di ricevere (da parte di collaboratori più stretti) informazioni complete e affidabili e, quindi, di essere adeguatamente informato - presumere di conoscere tutti i problemi della propria azienda e, addirittura, tutte le soluzioni da adottare - sottovalutare alcuni elementi di criticità che emergono durante la gestione aziendale - conseguentemente, attendere e rimandare azioni finalizzate ad affrontare e risolvere i problemi - non voler davvero “mettere in discussione” sé stessi o alcuni collaboratori più stretti - affrontare le situazioni “di pancia” o “con il cuore”, piuttosto che “con la testa” - attendere di essere anziani prima di avviare un ricambio generazionale La ragione per la quale i suddetti elementi rappresentano un rischio nella gestione di Impresa sono rispettivamente le seguenti: - tutte le imprese che guadagnano, soprattutto quelle che hanno subito fasi di crescita rapida, hanno processi non più ottimizzati e, quindi, inefficienze e costi (spesso occulti) che possono essere abbattuti - come dice il grande allenatore e coach Velasquo, “squadra che vince prima o poi perde”. E’ questa la ragione per la quale è proprio nei momenti di successo che è necessario investire sul cambiamento e pensare a nuove risorse da far crescere o acquisire - l’unica persona all’interno di un’azienda che ha come unico obiettivo la redditività dell’azienda è l’Imprenditore. Tutti gli altri hanno anche e soprattutto obiettivi di carattere personale. Tutti, nessuno escluso. E’ questa la ragione per cui spesso le informazioni che vengono riportate all’Imprenditore sono (volutamente) incorrette o incomplete - talvolta gli Imprenditori sono portati a sottovalutare alcuni problemi e a non affrontarli tempestivamente. Il più delle volte questo comporta l’aggravarsi dei problemi sino a quando poi si è costretti ad affrontare la situazione in regime di emergenza - in molti casi accade che alcuni collaboratori stretti siano stati “attori” protagonisti del successo dell’azienda e che l’Imprenditore sia portato a credere che lo possano essere per sempre. Non è così, in quanto alcuni collaboratori possono non avere le competenze o gli skill per gestire una fase successiva del ciclo di vita dell’azienda. - l’Impresa familiare, anche se di grandi dimensioni, è come una grande famiglia, per cui tra l’Imprenditore e i suoi collaboratori e tra i collaboratori stessi si instaurano delle relazioni anche basate su sentimenti di amicizia e di affetto. Ciò spesso comporta decisioni, soprattutto in ambito organizzativo, non adeguate e dannose per lo Sviluppo dell’Impresa. Per il bene dell’azienda è necessario effettuare analisi e prendere decisioni a freddo - il processo di ricambio generazionale è un processo che richiede talvolta tempi molto elevati per cui, laddove possibile, è sempre bene avviarlo con largo anticipo. Innanzitutto, prima di intervenire, è indispensabile che l’Imprenditore senta il bisogno di avviare un processo di cambiamento. Già questo è insolito, in quanto chi gestisce un’Impresa tende a perseguire il principio del “break-even-point” ed è dunque indotto a focalizzarsi su attività di sviluppo commerciale che possano incrementare il volume d’affari e, conseguentemente, gli utili della società. Questo principio è corretto, ma se perseguito in maniera univoca, mette in secondo piano attività che possono far conseguire una riduzione dei costi per effetto della modifica e razionalizzazione dei processi, dei metodi, degli strumenti e, in altre parole, del modo di lavorare. Il bisogno del cambiamento non soltanto deve essere sentito ma deve essere forte, in quanto la determinazione con cui deve essere avviato e gestito il percorso è un requisito assolutamente necessario. L’imprenditore deve essere pronto a mettere in discussione sé stesso, ma anche (e soprattutto) tutti i suoi stretti collaboratori, che magari in un’altra fase del ciclo di vita aziendale sono stati i protagonisti della crescita e del successo. La resistenza al cambiamento a cui si va incontro ogni qualvolta si avvia un percorso di questo tipo è sempre molto elevata. A volte i collaboratori assumono una posizione difensiva e si limitano ad osservare le azioni intraprese, per mettere in evidenza errori o problemi che inevitabilmente emergono. In altri casi, alcuni collaboratori dicono di essere d’accordo sul da farsi, ma che è necessario attendere (non si sa bene chi o che cosa) in quanto “non è il momento”. Altre volte, infine, non avendo capacità di controbattere in maniera razionale a nuove proposte, si dichiarano contrari utilizzando frasi del tipo “abbiamo sempre fatto così…”, lasciando intendere che è meglio non alterare il modus operandi. Per poter identificare, avviare e gestire un processo di cambiamento efficace, l’Imprenditore deve attivare un confronto con Consulenti esterni che abbiano: - un punto di vista da cui si osservano i processi aziendali “terzo” - un adeguato bagaglio di competenze multidisciplinari e multifunzionali una pluriennale e consolidata esperienza maturata in contesti analoghi. Talvolta consulenti appartenenti a grandi società o provenienti da multinazionali si approcciano ad aziende familiari ma l’intervento non ha successo, proprio in virtù dell’assenza di esperienza in ambiti analoghi. La valenza manageriale all’interno di una grande azienda multinazionale comporta competenze ed un bagaglio di esperienze di tutto rispetto, ma differenti da quello necessario in aziende familiari, anche di grandi dimensioni, che operano con meccanismi del tutto diversi. In definitiva, non è sufficiente avere le competenze e la capacità di identificare un percorso, ma è necessario anche “far accadere le cose”. É questa la differenza… Giuseppe Trevissoi
Se si pone ad un Imprenditore la domanda “avete implementato nella vostra azienda il Controllo di Gestione?”, la risposta è generalmente “si”. Purtroppo nella maggior parte dei casi le aziende non hanno implementato un vero e proprio Sistema Direzionale di Controllo di Gestione, ma si sono dotate semplicemente di un sistema di Reporting, spesso ricco di dati, ma per lo più aggregati in maniera non ottimale e, quindi, non efficace.
Tutte le aziende, indipendentemente da tipologia e settore di business, per mantenere e sviluppare la propria redditività in mercati sempre più dinamici ed esigenti, devono periodicamente innovarsi e rinnovarsi. Anche se dotate di un’organizzazione in grado di sostenere ed alimentare un miglioramento continuo, ciclicamente è necessario “mettere in discussione” le strategie, i processi e quant’altro fosse necessario per permettere all’azienda di operare secondo standard di eccellenza (Best Available Practices), condizione necessaria, anche se talvolta non sufficiente, per mantenere elevato il proprio livello di competitività. Il percorso da avviare è imperniato sull’ “utilizzo” ottimale delle risorse disponibili, a partire dalle Risorse Umane. In tutti i progetti di Consulenza, occorre effettuare una valutazione delle risorse a disposizione ed identificare il relativo potenziale. Ciò, grazie a Piani di Formazione e Sviluppo prevalentemente basati sull’affiancamento dei collaboratori, consentono di raggiungere il modello organizzativo ottimale senza investimenti particolarmente gravosi.
Il processo di Cambiamento aziendale è un percorso che deve partire dall’Imprenditore e deve coinvolgere progressivamente tutte le Risorse aziendali. Tale percorso è particolarmente delicato in quanto noi tutti siamo, in misura minore o maggiore, ancorati ad abitudini frutto dell’esperienza passata. Un “totem” da abbattere è l’errata convinzione che se l’azienda nella sua evoluzione ha conseguito risultati eccellenti, non si debbano mai “mettere in discussione” la sua Organizzazione ed i suoi Processi. Non sono pochi i casi di aziende di successo che hanno rappresentato “Case Study” delle migliori Università del mondo e che poi si sono trovate a gestire fasi di crisi, talvolta anche gravi ed irreversibili. Nel corso delle analisi preliminari e, successivamente, in fase di implementazione di un progetto che si basa sul cambiamento, come ad esempio uno Sviluppo Organizzativo, emergono vincoli più o meno rilevanti e più o meno occulti, rappresentati da Risorse che, spesso per la paura di perdere il proprio “potere”, ostacolano il suddetto processo e, laddove vengono adottate alcune decisioni, tendono a farle mettere in discussione e a “tornare al punto di partenza”. Nella quasi totalità dei casi è difficile identificare i vincoli anche perché spesso, in occasione di proposte di cambiamento, gli stessi si mostrano favorevoli ma cercano di convincere i loro interlocutori che pur essendo valide le ragioni e le modalità delle suddette proposte, non è il momento per adottarle. Condizione necessaria per implementare correttamente un Progetto basato sul Cambiamento è una profonda convinzione dell’ Imprenditore che il percorso è indispensabile, per cui tutti i vincoli che si presentano devono essere rimossi ”ad ogni costo”. L’errore comunemente commesso è quello di confondere la “fiducia personale” che si ha in un collaboratore con la “fiducia professionale” che necessitano le figure apicali. L’azienda, per mantenere elevato il livello di competitività ha bisogno di un team ben organizzato e composto da collaboratori che hanno adeguate competenze e che operino in armonia per il raggiungimento dell’obiettivo comune.
La diversità è un qualcosa che talvolta preoccupa, mette paura e qualche altra volta incuriosisce e affascina. In realtà, la diversità è “ricchezza”, in quanto è grazie ad essa che attiviamo il confronto che, a sua volta, è alla base dello sviluppo e della crescita di tutti noi. Nell’ambito delle numerose consulenze che nel corso degli anni ci hanno visto affiancare le imprese familiari, quasi nella totalità delle stesse è capitato che l’Imprenditore e alcuni suoi stretti collaboratori abbiano colto l’occasione per mettere in evidenza che la loro azienda era diversa rispetto a tutte le altre. La ragione per la quale spesso emerge questa considerazione è insita nella presunzione dell’Imprenditore, alimentata sempre dai suoi più stretti collaboratori, che la “sua” azienda non può (e non deve) essere capita, né tantomeno gestita, da altre persone che non conoscono a fondo quanto lui i meccanismi che regolano la stessa. Tale convinzione è rafforzata dalla naturale e, talvolta, eccessiva resistenza al cambiamento insita in tutti noi. Vero è che tutte le aziende familiari hanno delle peculiarità che la contraddistinguono da altre aziende di differenti settori di business e anche da aziende dello stesso settore. Le diversità sono inerenti essenzialmente il prodotto, il contesto o ad altri elementi principalmente legati all’idea imprenditoriale, che sono alla base del sistema azienda. Tuttavia, sulla base della pluriennale esperienza maturata al fianco di Imprenditori, tutte le aziende familiari hanno un “massimo comune denominatore”, ovvero delle caratteristiche in comune. È evidente che alcune delle suddette caratteristiche sono positive, mentre altre rappresentano dei limiti alla crescita dell’azienda e, ahimè, spesso sono alla base della mancata sopravvivenza della stessa. Di seguito provo a fare esempi nei quali un po’ tutte le aziende familiari possono ritrovarsi. Generalmente (e quando dico generalmente intendo che statisticamente ha una buona probabilità che accada), le aziende familiari hanno come aspetti positivi che le contraddistinguono i seguenti elementi: - Valori diffusi, come integrità, trasparenza, correttezza... - Spiccato intuito Imprenditoriale - Elevato livello di fidelizzazione dei collaboratori - Capacità di prendere e adottare rapidamente decisioni Di contro, sempre “generalmente”, hanno i seguenti limiti: - presunzione di conoscere i meccanismi e i problemi dell’azienda - processi inefficienti e, talvolta, inefficaci - assenza di metodo - strumenti di lavoro non ottimali o non utilizzati in maniera ottimale - tendenza all’accentramento e assenza di delega - organizzazione destrutturata - responsabilità non ben definite - obiettivi non definiti (a tutti i livelli) - assenza di sistemi di valutazione della performance dei collaboratori - assenza di piani di sviluppo delle risorse umane - assenza o limiti di pianificazione (anche finanziaria) - elevata resistenza al cambiamento Con questo non intendo che tutte le aziende hanno in comune gli aspetti positivi e negativi su menzionati, ma solo che la totalità delle aziende familiari ha in comune molti degli elementi messi in evidenza. Mi vorrei soffermare su uno di essi che, non a caso, è stato menzionato per primo e, precisamente, la presunzione (dell’Imprenditore) di conoscere i meccanismi che regolano la sua azienda, i suoi problemi e, spesso, le cause e le soluzioni degli stessi. Una delle frasi che generalmente utilizzo quando mi trovo davanti a casi di questo genere è: “Caro imprenditore, se pensi di conoscere la malattia della tua azienda, la cura da adottare, la medicina da prendere e anche…la farmacia dove acquistarla, non hai bisogno di un supporto…Fallo da solo!”. Nella mia “prima vita lavorativa”, quella in cui ero ancora un dipendente (sia pure dirigente) di aziende, dopo aver maturato circa 15 anni di esperienza in aziende multinazionali e ben strutturate, sono approdato in una azienda familiare, sia pure di grandi dimensioni, ma…familiare! L’inserimento all’interno della stessa, in posizione apicale, non è stato affatto semplice in quanto uno spirito innovatore come il mio trovava continuamente ostacoli e resistenze da parte di (quasi) tutti i colleghi e collaboratori. A quel tempo, la Fiat stava attraversando un periodo difficile e, non a caso, una delle frasi che mi sentivo dire da alcuni colleghi quando si voleva intraprendere una qualsiasi attività volta al cambiamento e all’innovazione (organizzativa), era: “Guarda…che questa non è la Fiat!”. Con questa fase, gli interlocutori volevano intendere che l’azienda era una azienda di successo in quanto caratterizzata da un’organizzazione destrutturata e guidata da uomini che, in virtù dei risultati e del successo conseguito, non potevano e non dovevano in alcun modo essere messi in discussione! Non a caso, a distanza di anni, la Fiat, grazie alle indiscusse qualità del manager che l’ha guidata, si è ripresa alla grande, mentre l’azienda in cui lavoravo io, inizialmente studiata come caso di successo da molte università italiane ed estere, da oltre 10 anni consuntiva perdite importanti e rischia di chiudere. Ovviamente, nelle aziende familiari non è assolutamente pensabile di implementare, così come sono, processi, procedure, metodi e strumenti adottati in un’azienda come la Fiat. Tuttavia, certamente è possibile prendere in considerazione una serie di spunti che, con le dovute competenze ed esperienza, si possono adottare in maniera personalizzata ad aziende di qualsiasi settore di business e dimensioni. Come dice il grande coach Julio Velasco, “Squadra che vince, prima o poi…perde!”. È questa la ragione per la quale periodicamente, ogni organizzazione che si rispetti, per sopravvivere e mantenere alto il livello di competitività, deve mettersi in discussione e con il “mettersi in discussione” intendo “tutto” e “tutti”, a partire dall’Imprenditore o, meglio, dai suoi stretti collaboratori. Per favorire il processo di cambiamento, essenziale per la sopravvivenza di tutte le aziende, è necessario avere una adeguata apertura mentale e favorire un confronto con professionisti che hanno competenze e un bagaglio di esperienze tali da poter fornire un contributo di tipo…diverso!
Spesso, nel corso di progetti di consulenza, capita di sentir dire dall’Amministratore o da suoi stretti collaboratori frasi del tipo “è da tanto che ho detto di fare questa cosa” o “sapevamo di dover fare questa cosa”. In effetti, nell’ambito dell’identificazione di soluzioni che danno poi origine a piani d’azione accade che alcune azioni vengono proposte dall’azienda. Tuttavia, l'Amministratore ha bisogno di elementi oggettivi per: identificare problemi, risalirne alle cause, definire obiettivi e soluzioni, condividere priorità di intervento e lanciare conseguenti Piani di Miglioramento: in sintesi, per "far accadere le cose".
Un tema molto comune e sempre attuale è quello che caratterizza la leadership che dovrebbero avere le figure apicali dell’azienda, a partire dall’Amministratore. Frasi del tipo “si fa così perché lo dico io” o “sono io l’Amministratore”, sono frasi che destabilizzano, demotivano e deresponsabilizzano i collaboratori a cui vengono dette. E’ notorio come l’efficacia di una decisione condivisa sia di gran lunga maggiore di una decisione “imposta”. E’ questa la ragione per cui lo “stile manageriale” moderno è basato su tecniche di condivisione delle decisioni da prendere, che si estrinsecano nel coinvolgimento attivo e preventivo dei collaboratori che se si sentono parte integrante di una decisione, certamente ne supporteranno meglio la sua attuazione. Dopo aver adeguatamente raccolto tutti gli elementi necessari a prendere una decisione, l’obiettivo da raggiungere è “orientare” le valutazioni dei collaboratori verso le decisioni aziendali.
La maggior parte delle aziende familiari ha sviluppato sistemi informativi gestionali con il supporto di un esperto informatico o di una software house di fiducia. Man mano che l'azienda ha una nuova esigenza, contatta il consulente di riferimento che interviene secondo necessità. Questo modo di operare, nel tempo, può comportare problemi, in quanto le modifiche richieste sono per lo più estemporanee e non sono parte integrante di un piano di miglioramento coerente, da un lato, con le continue nuove esigenze aziendali e, dall'altro, con la rapida evoluzione del contesto in cui l'azienda opera. Inoltre, legarsi ad una soluzione software proprietaria di un consulente informatico o di una piccola azienda informatica, di fatto rappresenta per l'azienda un vincolo e allo stesso tempo un rischio non indifferente! In altri casi, invece, l'azienda ha acquistato un software gestionale adeguato ma, a causa di carenza di cultura informatica dei propri collaboratori, non è riuscita ad implementarlo completamente o correttamente. La soluzione ai problemi è affidarsi ad un team di consulenti di adeguata professionalità ed indipendenti, che possano guidare l'azienda nelle scelte ottimali, in funzione delle necessità ma anche delle risorse a disposizione.
Per un imprenditore, decidere in quale mercato estero investire e sviluppare il proprio business non è una scelta facile, e non può essere basata esclusivamente sul proprio intuito imprenditoriale. Spesso capita che un’azienda familiare che voglia investire in un mercato estero per aumentare il suo volume di vendita basi la sua scelta su conoscenze personali dell’imprenditore, su indicazioni di massima che individuano un Paese come il migliore che possa “accettare” i propri prodotti, a rapporti e indicazioni generiche sulla convenienza di investire in una nazione, ma quasi mai su dati statistici oggettivi che identificano la massima probabilità di penetrazione in quel mercato specifico rispetto ad un altro. Lo sviluppo dei mercati esteri deve essere gestito come un vero e proprio progetto, composto da varie fasi che devono essere eseguite in modo da raggiungere l’obiettivo di individuare il Paese su cui investire con minor rischio di insuccesso e, successivamente, di penetrare il mercato identificato. Bisogna inizialmente individuare alcuni mercati obiettivo, quelli su cui l’imprenditore ritiene di avere maggiori chance di successo per i propri prodotti. Una volta definiti i mercati obiettivo si procederà, prima di tutto, con una pre-analisi macroeconomica che deve servire a individuare i mercati su cui procedere e successivamente a essa, da un’analisi di settore che dovrà essere effettuata solo per i contesti valutati più idonei dal punto di vista delle condizioni macroeconomiche. Tali condizioni saranno analizzate da fattori di carattere demografico, oltre a quelli prettamente economici. Si dovranno quindi misurare le dimensioni e il tasso di crescita per ogni mercato: i dati che serviranno per questa analisi sono il PIL, il PIL pro capite, il numero di abitanti, le spese che il mercato destina per il settore dei prodotti che vogliamo vendere. L’analisi deve essere statica e dinamica, cioè non solo misurando la dimensione delle variabili negli ultimi anni (normalmente bastano gli ultimi cinque anni), ma anche utilizzando il tasso di crescita che correla i dati del periodo considerato individuando la variazione percentuale subita dalle variabili nel medesimo arco temporale. Da questa pre-analisi macroeconomica possono già essere individuati i mercati su cui è più opportuno continuare con l’analisi di settore e quelli eventualmente da scartare. Sui mercati individuati si procede, quindi, a un’analisi di settore relativamente ai prodotti che si vuole vendere. L’analisi di settore consiste nel valutare la competizione interna e anche di verificare la presenza di competitor italiani e non. Si evidenzieranno, pertanto, i punti vendita presenti per ciascun competitor, la fascia di prezzo dei prodotti, come sono collocati i competitor italiani. Verranno valutati mercato per mercato nella fascia di prezzo che interessa i diversi competitor e in particolare quelli italiani (per alcuni prodotti è fondamentale il brand made in Italy). E’ questa la fase più delicata della scelta, perché bisogna valutare correttamente sia i dati macroeconomici del mercato, che quelli dell’analisi di settore. Pur avendo effettuato tutte le analisi relative al contesto macroeconomico e al settore di mercato, sarebbe sbagliato già individuare il mercato dove investire senza effettuare una ulteriore valutazione. Quindi, acquisite le condizioni macroeconomiche e le caratteristiche della competizione nel settore, risulta utile effettuare un’indagine per dimensionare l’effettiva richiesta dei prodotti in questione nei mercati considerati. E’ quella che viene definita un’analisi fit prodotto/mercato. Questo ultimo dato è estremamente importante perché si potrebbe avere un mercato florido macroeconomicamente, con condizioni di competizione favorevoli, ma in cui i prodotti specifici dell’azienda che intende sviluppare il proprio business non siano appetibili. Una analisi fit prodotto/mercato è quindi fondamentale per comprendere se per il Paese prescelto i prodotti abbiano un effettivo interesse per la clientela e possano quindi essere incrementate le vendite dell’azienda. Tale analisi fit prodotto/mercato potrebbe anche essere effettuata precedentemente, e non necessariamente al termine del check-up di internazionalizzazione. Nel decidere dove investire in un mercato estero, comunque, è importante essere in possesso di tutte le analisi precedentemente indicate, solo in tale caso si può effettuare una scelta quanto più corretta e redditizia per l’azienda. Riepilogando quanto sopra scritto, la scelta da parte di un imprenditore di investire in un mercato estero deve essere fatta valutando in modo rigoroso e, direi, scientifico tutte le fasi di un iter di internazionalizzazione, cioè effettuare una prima scelta sui mercati obiettivo su cui indagare, successivamente una pre-analisi macroeconomica, una analisi di settore e infine una analisi fit prodotto/ mercato. Solo quando in possesso di tutti i dati delle diverse analisi si può ragionevolmente prendere una decisione su quale nazione investire. E’ evidente che la scelta finale sarà comunque sempre soggettiva e difficilmente priva di errori, ma comunque notevolmente migliore di una scelta basata esclusivamente sull’intuito imprenditoriale. Non è facile per un’azienda familiare seguire questo iter di scelta, ma il rischio di effettuare un investimento sbagliato e di cercare di espandere il proprio mercato in una nazione che non sia la più adatta a ricevere i prodotti dell’azienda potrebbe essere traumatico per l’azienda stessa. Un approccio più sistematico e più scientifico permette all’imprenditore una scelta più sicura, in cui vengono valutati tutti i dati relativi all’internazionalizzazione dei prodotti aziendali e, anche se non esente da eventuali valutazioni errate, è sicuramente un passo sostanziale per passare da una gestione artigianale a una gestione più industriale. E’ inoltre ovvio che difficilmente l’imprenditore può avvalersi di personale interno che sia in grado di effettuare questa attività di internazionalizzazione e, di conseguenza, deve avvalersi di società di consulenza che possano effettuare tali attività e che presentino i risultati delle loro valutazioni in modo da permettere all’imprenditore di prendere una decisione il più possibile corretta. Anche questa potrebbe essere una scelta non facile per l’imprenditore, perché non sempre è disponibile a investire in società di consulenza per un’attività che ritiene abbastanza semplice da attuare. Se si rende conto dell’importanza e degli enormi vantaggi che avrebbe la sua azienda in investimenti corretti nei mercati esteri, contro i rischi che potrebbe portare un investimento sbagliato, non dovrebbe avere dubbi nella scelta di un check-up di internazionalizzazione più rigoroso. La scelta del mercato estero su cui investire per accrescere le proprie vendite è solamente la prima fase di un progetto di Internazionalizzazione; infatti, una volta individuata la nazione su cui investire è necessario sviluppare un piano di Marketing Operativo per stabilire il miglior approccio possibile per incrementare le vendite nella nazione individuata. Bisogna individuare come vendere (agenti, distributori, punti vendita), dove eventualmente stabilire le sedi dei punti vendita, ecc. La buona riuscita di un piano di marketing è basilare per conquistare il Mercato, ed è ovvio che un buon piano di marketing si avvale di tutti i risultati scaturiti dal check-up di internazionalizzazione. Per quanto di cui sopra, vi renderete conto che “La tartaruga batte Achille perché conosce la strada” (Markku Envall).